mercoledì 27 maggio 2015

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mercoledì 20 maggio 2015

La bellezza (delle rose di maggio)



- Che peccato… - sussurrò fra Dulbino.
Il giovane frate riguadagnò i pochi metri persi da frate Francesco quando si era fermato a riflettere.
Frate Francesco non sembrava essersi accorto di esser rimasto solo nel cammino.
Avevano appena superato un grande roseto selvatico, pieno di fiori, com’era logico che fosse in quel caldo mese di maggio.
Quando fra Dulbino si fu messo al passo di Francesco, questi gli disse, continuando a camminare:
- Sei in errore, fratello Dulbino.
Il fraticello, con la testa piena di ricci svolazzanti, si fermò di botto, come una freccia che abbia raggiunto il suo bersaglio.
- In che cosa sono in errore, pad… cioè… fratello?
Francesco sorrise senza farsi vedere e si fermò a sua volta. Tutti sapevano che voleva essere chiamato fratello, come tutti i suoi compagni; ma i più giovani del gruppo stentavano ancora a farlo e gli davano quel titolo che invece già tutto il popolo gli riconosceva e attribuiva.
- Sei in errore nel pensare che la bellezza sfiorisce.
- Ma come sai a cosa stavo pensando?
Francesco sedette su un tronco d’albero tagliato che si trovava al bordo della stradella sterrata e polverosa, e invitò fra Dulbino a fare altrettanto.
- Siedi - gli disse.
Fra Dulbino obbedì e sedette sul grosso masso lì vicino, ben levigato dal tempo e, forse, dalla teoria infinita di viaggiatori stanchi che erano passati di lì nel corso dei secoli.
- Dimmi, frate Dulbino, chi abbiamo incontrato qualche tempo prima di arrivare a quel ponticello di pietra?
- Un gruppo di persone, fratello Francesco.
- E non hai per caso notato anche una bella figliola, tra quelle persone?
Frate Dulbino arrossì e prese a giocherellare col cordiglio che teneva il saio stretto in vita.
Nel silenzio che passò tra i due, si udì lo scrosciare dell’acqua del vicino ruscello e il cinguettare gioioso di due uccelli che si rincorrevano di ramo in ramo.
- Certamente, frate Francesco… - Fra Dulbino si zittì abbassando il capo – Ho peccato, lo so, soffermandomi col pensiero su quella fanciulla…
- Ma no, fratello! – l’interruppe Francesco. – Pensi che non abbia visto anch’io come il suo incedere le sollevasse il seno fino quasi a farlo uscire fuori dalle vesti? E di come abbia accentuato le sue movenze quando è passata vicino a noi?
- Ma allora anche tu…
- Anch’io fratello! Anch’io ho visto e ho ringraziato Dio per quel che ho visto.
Francesco tacque, aspettando che il suo compagno aggiungesse qualcosa. Poi quando capì che non voleva parlare, continuò:
- Poi siamo passati davanti a quel roseto…
- Era bellissimo! Pieno di rose in tutti gli stadi della loro vita: dai boccioli, al fiore in pieno rigoglio a quelli in fase calante.
- Bravo, Dulbino. E non è proprio allora che hai pensato e detto “che peccato”?
- Sì.
- Perché hai pensato che, come quelle rose, anche la bellezza di quella fanciulla, col tempo, sarebbe sfiorita, ed ella non sarebbe stata più desiderabile come ora. Non è forse vero?
Dulbino lo guardò stupito. Francesco sembrava aver letto nei suoi pensieri.
- È proprio così…
- Ed è qui che hai commesso il tuo errore, fratello Dulbino.
Francesco si alzò, aiutandosi con le mani, e prese a camminargli davanti.
Il giovane frate, allora, toccò il sasso dove sedeva, guardò il tronco di Francesco rimasto libero e sembrò convincersi che quest’ultimo doveva essere meno duro del suo sedile. Infatti si alzò e andò a sedersi sul pezzo di legno.
- Ora che ti sei accomodato meglio – disse Francesco (e Dulbino capì solo in quel momento che il suo compagno gli aveva ceduto il posto meno scomodo) – ti voglio dire una cosa.
Dulbino gettò il pezzetto di corteccia che aveva raccolto e con cui stava giocherellando, e fissò Francesco che si era fermato davanti a lui e aveva cominciato a parlare.
- Ecco, il tuo errore è questo: la bellezza non sfiorisce. Mai. La bellezza non è legata a quella fanciulla e alla sua età, ai suoi seni che prima o poi diverranno flaccidi e cascanti o ai suoi capelli che incanutiranno. No! Se noi la guardiamo con gli occhi dell’anima, quella ragazza resterà sempre bella, anche quando non avrà più un dente per masticare. Pensi che l’uomo che sposerà quella fanciulla, che si unirà a lei anche per la sua bellezza esteriore, che le donerà dei figli, non l’amerà per tutta la vita e non la troverà bella anche in punto di morte?
Perché quell’uomo avrà amato la sua anima prima che il suo corpo. Almeno prego per quella ragazza che sia così, e che non incontri una persona che sarà attratto solo dal bel corpo e non saprà andare oltre.
Perché la bellezza parte dal di dentro e si mostra al di fuori. La bellezza è il segno della presenza nella creatura dell’amore pacificante di Dio. Le Sante Parole scritte nella Bibbia non ci dicono forse che Gesù era il più bello tra i figli degli uomini anche sul legno della croce?
Francesco fece qualche passo, prese un ciottolo e lo tirò nel ruscello vicino. Aspettò il rumore del sasso caduto nell’acqua e sorrise. Poi continuò:
- Per questo prima ti ho detto che anch’io ho gioito nel vedere quella bella figliola; perché ho potuto ringraziare il Creatore attraverso la creatura. Dio ha fatto buone e belle tutte le creature, anche noi esseri umani, e questa bellezza si manifesta a noi sempre, in ogni modo e in ogni momento. E la bellezza di quella ragazza resterà per sempre, se noi sapremo scoprirla oltre il suo corpo.
Dulbino sembrò voler dire qualcosa; poi ci ripensò e annuì lentamente col capo.
Francesco lo guardò con sguardo d’amore e il giovane frate parve aver sentito quella dolcezza raggiungerlo, perché alzò gli occhi e li fissò in quelli di Francesco.
- Su, fratello Dulbino, non ti sembra che abbiamo concesso anche troppo ozio e riposo a nostro fratello corpo? Andiamo, che i frati di Assisi ci aspettano, si sta facendo sera e saranno preoccupati di non vederci arrivare.
Così parlò Francesco, ma si capiva lontano un miglio che celiava.
Frate Francesco tese una mano a Dulbino, l’aiutò a rialzarsi, quindi gli batté sulla spalla e disse:
- Andiamo!
Poi, fatti pochi passi, avvicinò la bocca all’orecchio del compagno di viaggio e sussurrò:
-Però in una cosa avevi ragione, Dulbino: quella ragazza era proprio una bella creatura!

venerdì 15 maggio 2015

Le lacrime di fra Dulbino e la polvere dell'anima


Grandi uccelli giocavano tra i raggi del sole...

Era piovuto fino a pochi minuti prima, acqua mista a nevischio che aveva inzuppato ogni cosa. Ma ora le nuvole si stavano sciogliendo e un accenno di tepore andava a riempire l'aria.
Quella tiepidezza unita allo sciabordio dell'acqua contro la riva del lago favoriva il cullarsi come in un sonno.
A volte nostro fratello corpo ha le sue esigenze e bisogna essere indulgenti. E poi non era forse Dio che ci stava facendo quel dono?
Rimasi a fissare l'acqua che andava acquietandosi: le onde perdevano sempre più la loro spuma e si abbassavano d'intensità. Grandi uccelli giocavano tra i raggi del sole che filtravano tra le nuvole residue che ancora coprivano il cielo.
Eravamo ormai da tre giorni fermi a Luvino e rivedendo le persone della mia infanzia, ascoltando i loro ricordi, un senso di nostalgia mi stava riempiendo. Come quando davanti ad un camino acceso gli odori ti trasportano in mondi dove non sei mai stato ma dove capisci che saresti a tuo agio.
Io invece quei mondi li conoscevo bene: erano la mia infanzia, le corse tra le case basse con gli altri ragazzi, l’adolescenza, il profumo dell’acqua dolce e della resina dei pini.
Ero da solo in riva al lago, dove il paese finisce e la strada curva attorno allo sperone di roccia.
Mio fratello Giovanni, dove sarà adesso? E i miei genitori? Cammineranno ancora su questa terra o sorella morte li avrà già chiamati e portati davanti a Dio?
Gervasio, compagno di giochi di Giovanni, mi aveva raccontato di quando la mia famiglia umana aveva lasciato Luvino (*) per andare in cerca di fortuna al di là delle montagne. Ma dalle sue parole avevo capito che non volevano più vivere lì dove ogni pietra e ogni albero gli ricordavano di me, che li avevo lasciati per seguire i pazzi del pazzo Francesco.
Forse Gervasio aveva ragione? Siamo pazzi a camminare scalzi e morire di fame e di freddo… E per cosa poi? Per essere insultati dalla gente e scacciati dai preti a cui ricordiamo con carità e dolcezza la loro grande dignità che spesso calpestano per andare dietro al mondo e alle sue pompe, per usare le parole del Santo Evangelo?
Però poi penso che camminiamo scalzi e moriamo di fame e di freddo anche per poter annunziare liberamente e con verità quelle Sante Parole per cui tanti prima di noi morirono anche  corporalmente oltre che nei desideri. Per essere soli col Solo quando preghiamo, senza niente e nessuno che si frapponga tra noi e il Nostro Signore e Padre Dio.
Quanti pensieri! Quanti macigni nell’anima e sul cuore! Quanta pesantezza nel cammino dello spirito!
Spesso mi ero ritrovato a vivere queste sensazioni, ad avere questi pensieri, e ogni volta mi ero visto come in un baratro, da cui non vedevo più la luce dell’uscita, in cui sentivo solo voci di condanna, di miseria, di scoraggiamento.
E ogni volta era stato frate Francesco a raccogliermi e, dolcemente, a riportarmi sulla strada.
Vedevo poco distante frate Silvestro che con fatica cercava di alzarsi da terra, aggrappandosi all’albero cui finora si era poggiato per dare un po’ di riposo a suo fratello corpo affaticato dagli anni.
Gli corsi incontro e gli porsi una mano per aiutarlo. Poi quando vidi che non riusciva a farsi forza sulle gambe, perché la sua età gliele aveva infiacchite (ma anche gli sforzi, i digiuni, i lungi cammini per spostarsi da una paese all’altro), allora lo abbracciai e feci delle mie gambe le sue, fino a che non fu in piedi.
“Grazie fratello Dulbino, bastone della mia vecchiaia!” mi disse col suo sorriso semplice e disarmante e i suoi occhi chiari.
Lui, di cui frate Francesco diceva che parlava con Dio come l’uno amico dell’Altro, diceva che ero il bastone della sua vecchiaia! Quale gioia invase l’anima mia!
Per un attimo i cattivi pensieri lasciarono la mia mente, ma poi tornarono ad assalirla e a spingerla giù nel pozzo nero dell’oscurità.
Sapevo che tutto questo era lavoro di colui che è persin meglio non nominare, che allontana dalla luce per nascondersi nel buio della menzogna.
“Cosa c’è, fratello? Ho visto turbato il tuo volto, prima, mentre fissavi l’acqua e ho immaginato che innumerevoli pensieri attraversavano la tua mente e la tua anima” mi chiese Silvestro.
Io rimasi a guardare il niente davanti a me. Quindi risposi:
“Hai ragione, fratello Silvestro. Da quando sono qui a Luvino, ai pensieri che già affollano la mia mente sulla nostra vita, il nostro peregrinare, si aggiungono i ricordi e le domande sulla mia famiglia di origine. È male tutto ciò?”
“Dulbino, fratello e figlio carissimo, chi di noi non ha o non ha avuto questi pensieri? Chi può dire di essersi lasciato totalmente alle spalle la sua vita precedente? Io stesso quante volte ripenso a quando ero sacerdote nel secolo e non conoscevo ancora la santa povertà? A quando ho accusato, ingiustamente, frate Francesco di non avermi pagato le pietre per ricostruire San Damiano ed egli ha risposto ricoprendomi di monete d’oro e sorridendomi con compassione? Non dimenticherò mai quello sguardo di misericordia… Ed è stato quello sguardo che mi ha fatto capire come io, sacerdote e per di più anziano, fossi ancora attaccato alle cose del mondo! Ed ora eccomi qua, costretto a farmi aiutare da te per rialzarmi da terra. Ma è proprio questo che ho imparato: nessuno di noi è solo, nessuno può dire di essere sufficiente a sé stesso, anche se giovane e forte. Ci sarà sempre qualcosa che ci impedirà di rialzarci quando cadiamo. Abbiamo tutti bisogno l’uno dell’altro e, soprattutto, abbiamo bisogno tutti di Dio.”
E nel dire così, frate Silvestro alzò gli occhi verso il cielo e i suoi occhi limpidi si riempirono di lacrime.
Come dicono le Sante Parole della Scrittura, nulla viene se non voluto da Dio, e quelle parole erano proprio per me.
Nessuno mai avrebbe cancellato, ora o in seguito, quelle tenebre dell’anima mia, se non Dio. Ma avrei sempre trovato qualcuno a cui aggrapparmi.
Un rumore di ciottoli smossi ci fece girare e la figura piccola e smagrita di frate Francesco ci venne incontro.
“Fratelli! Finalmente vi ho trovati! Sapevo che tu, Dulbino, non potevi stare lontano dalle acque del tuo lago!”
Quindi andò verso frate Silvestro, gli si inginocchiò dinanzi e gli baciò le mani.
“No, fratello! Perché?” protestò l'anziano frate.
“Lo sai perché, fratello Silvestro. Perché dell'altissimo Figlio di Dio nient'altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo che voi sacerdoti ricevete e che voi soli amministrate a noi piccole creature.” **
Poi Francesco si alzò e continuò:
“Di cosa stavate parlando? Delle cose di Dio?”
“Delle cose degli uomini, frate Francesco, e quindi delle cose di Dio” rispose frate Silvestro.
“E' vero fratello, non c'è niente al mondo che non sia anche di Dio, perché tutto e tutti siamo sue creature.”
Gli occhi di Francesco saettavano da Silvestro a me e tornavano a lui.
“Cosa turba il tuo cuore, fratellino?”
Io rimasi in silenzio; non sapevo da che parte cominciare a raccontargli ciò che passava nella mia anima.
E allora frate Silvestro prese a dire:
“Il passato, i dubbi, le incertezze macerano la mente e il cuore del nostro giovane fratello. Gli ho detto che è umano tutto ciò, e ora aggiungo che tutto si può in Colui che ci da’ la forza.”
“Certamente, Silvestro! Onoro la saggezza che alberga in te e che ti ha suggerito queste parole! Noi non siamo soli” disse poi volgendosi verso di me “ma in ogni cosa abbiamo un Padre che conosce ogni capello del nostro capo. Non vuoi che conosca anche i nostri pensieri, per quanto profondi e cupi possano essere?”
Francesco pose una mano sulla spalla di Silvestro e l'altra sulla mia. E continuò, volgendosi a me:
“Dio non cancella la tua storia, ma non permette che il suo ricordo ti faccia del male; basta che ti affidi a Lui, che Glielo chiedi.”
Gli occhi di frate Silvestro sembravano quelli di uno che avesse la febbre alta, ma capivo che erano infiammati d'amore per il Signore. Pareva che il suo spirito, alle parole di Francesco, avesse cominciato a volare, a cercare la gioia che da’ la presenza dell'Altissimo.
Frate Francesco raccolse le sue mani sul petto, come l'avevo visto fare tante volte quando pregava. Sembrava volersi abbracciare. Ma poi capii che sentiva invece l'abbraccio di Gesù al suo povero corpo e alla sua povera anima. E fissandomi disse:
“Lasciati amare da Dio, Dulbino, fratello carissimo! Lascia che Dio penetri nella tua vita, abbatta le barriere che hai messo tra te e Lui e operi in te. Chiediglielo sempre, con le lacrime, tra le suppliche, in ginocchio. ChiediGlielo e Lui ti esaudirà, e allora tutta la tua vita sarà nelle Sue mani e tutto sarà nuovo, tutto avrà un nuovo inizio. Egli l'ha promesso: ti darà un cuore nuovo! Come l’ha dato prima di te a tutti i suoi figli! Dio rispetta le nostre scelte, ma sta alla porta e bussa: aspetta che noi Gli apriamo e Gli permettiamo di fare nuova ogni cosa. Lasciati amare e nulla ti apparirà più come una montagna insormontabile, come una notte buia e senza stelle ad indicarci il cammino.”
Poi venne da me e mi abbracciò, e io sentii come catene cadere dentro di me, una fiamma bruciarmi nell'anima e contemporaneamente un soffio d'aria fresca spazzare la pesantezza del mio passato.
“Lasciati amare da Dio, Dulbino. Ed Egli sarà la risposta ad ogni tua domanda e la tua forza per sempre.”
I miei occhi cominciarono ad appannarsi e vedevo Francesco e Silvestro come dietro una parete d’acqua: erano le lacrime che scendevano a rigare il mio viso. Cercai di asciugarle con le mani, ma più ne toglievo e più ne scendevano.
“Scusate… “ mormorai.
“E perché? Non vedi che anche noi piangiamo con te?” disse Francesco.
Ed era vero: i miei due compagni piangevano e capii dai loro volti che le loro erano lacrime di gioia, gioia per me.
“Le lacrime sono un dono di Dio” continuò Francesco. “Ognuna di esse lava e purifica la nostra anima.”
Restammo così per un po’, non so quanto, ma il tempo che bastava per tornare coi piedi su questa terra dopo esser stati in cielo davanti al trono dell’Altissimo.
“Ed ora” ruppe il silenzio Francesco “andiamo fratelli, abbiamo ancora tanta strada da fare!”

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(*) Nome antico dell’attuale Luino, sul lago Maggiore
(**) “Testamento di Francesco”, 10 (1226)