venerdì 20 marzo 2015

Fra Dulbino e gli occhi dell'anima (racconto)

Luvino al tramonto
Aprii gli occhi.

C’era qualcosa che mi dava fastidio sotto la gamba.

Allungai la mano e trovai un ciuffetto d’aghi di pino che si era insinuato sotto il saio.

Lo presi e lo gettai via.

Gli altri ancora dormivano sparsi sotto gli alberi del boschetto, e il cielo si stava arrossando un po’ oltre le montagne. L’acqua del lago era immobile e scura; mi dava sicurezza.

Ringraziai Nostro Signore Gesù Cristo per essere morto e risorto per la nostra salvezza e recitai un pater, ave e gloria.

Fate Francesco dice che non dobbiamo recitare queste preghiere per abitudine ma perché sappiamo quello che stiamo dicendo e ne siamo convinti.

Ma anche la coscienza vuole la sua parte e io le ho sempre recitate appena alzato e prima di addormentarmi.

Mi crogiolavo ancora nel ricordo del sogno appena fatto.

Ero sulle rive del lago, a pochi passi da casa mia e giocavo a fare rimbalzare i ciottoli sull’acqua.

Ogni volta che la vita di fraternità (come la chiama Francesco) si fa pesante io scappo con la mente a quell’acqua, al tepore del sole in primavera, al luccichio abbagliante d’estate.

Poi, nel sogno, guidavo una di quelle chiatte di legno che vanno da una riva all’altra del lago a portare persone e animali.

Quante volte da bambino ho immaginato di farlo! Mi vedevo con un lungo ramo in mano a far muovere la chiatta, a spingere con forza mentre scambiavo chiacchiere col pastore che trasportava due pecore o col contadino che teneva stretta a se’ una sacca piena di verdura odorosa.

Mi girai per un rumore poco dietro di me: qualcuno si era alzato e si era allontanato dietro gli alberi; evidentemente doveva vuotare la vescica.

Quando il rumore che mi ero aspettato terminò, comparve frate Filippo; venne in riva al lago e sedette vicino a me.

“Già sveglio, fratello?” mi chiese.

“Si, voglio godere il più possibile dell’aria di casa mia, del mio lago. È quasi un rifugio per me… “

“Ti capisco, fra Dulbino. Anche a me manca la mia città quando siamo lontani: le colline dolci e profumate, gli ulivi argentati… immagino come dev’essere per te che ci vieni così poco spesso! Ma io, grazie a Dio, sono quasi sempre a casa, specie da quando frate Francesco mi ha affidato le sorelle povere di Chiara.”

Frate Francesco, infatti, aveva nominato Filippo visitatore del monastero di San Damiano, dove Chiara e le sue consorelle risiedevano. E poiché egli aveva una tal dolcezza e maestria nel parlare di Dio e nello spiegare le Scritture pur senza averle mai studiate, gli aveva dato anche l’incarico di predicatore presso di loro.

“Sì, è così, hai ragione. Ma dov’è Francesco? L’hai visto?”

“Iersera si era disteso vicino frate Egidio, visto che nessun altro sopporta il suo russare. Ma poi stamane non l’ho visto. Sai quanto lui dorma poco di notte e di come la passi a pregare.”

“Ti posso fare una domanda, fra Filippo?”

“Certamente, Dulbino!”

“Vieni, camminiamo lungo la riva, non voglio svegliare i fratelli e… non voglio che sentano i nostri discorsi.”

Anche se faceva freddo a quell’ora dell’alba, perché il sole non era ancora penetrato nella vallata, camminavo coi piedi nell’acqua. Vedevo la mia Luvino ancora addormentata, ma già qualche rumore  cominciava a sentirsi.

“Ma tu che lo conosci sin dall’inizio, che idea ti sei fatto di frate Francesco?” chiesi.

Frate Filippo dapprima sembrò stranito dalla mia domanda, poi fece qualche smorfia come se stesse rimuginando.

“Sai, anch’io me lo sono chiesto diverse volte, e non ho mai saputo rispondere.”

Frate Filippo si fermò, ed io con lui.

“A volte mi sembra di avere davanti un santo o un angelo per quel che dice e fa e un minuto dopo lo vedi correre come un pazzo in un campo o gettarsi addosso ad un lebbroso per proteggerlo dal freddo. Altre volte gli senti dire certe parole che qualsiasi sacerdote prenderebbe come eresie, come quando ha detto che Dio non vuole che le nostre sorelle stiano chiuse in clausura, ma che anche loro dovrebbero andarsene libere per il mondo come noi maschi ad annunziare che Gesù è morto e risorto per tutti.”

“Hai ragione, frate Filippo! Anch’io ho pensato la stessa cosa. Mi ricordo di quella volta che salì sul tetto di quella casetta che i frati si erano costruiti per avere un riparo, e lo distrusse urlando che sorella povertà non lo voleva. E poi alla sera li ammaestrò dolcemente sull’amore fraterno.”

Riprendemmo a camminare.

A qualche passo da noi un ragazzo era fermo sulla riva. Ci vide arrivare e si volse a guardarci.

Lo conoscevo di vista: quando ero andato via per seguire Francesco era ancora quasi un bambino e giocava col mio fratellino a lanciarsi in acqua dai rami del grosso salice che c’è davanti alla chiesa.

“Pace a te, fratello!” disse Filippo.

Gervasio, ricordavo ora il suo nome, alzò una mano a salutare, ma non aprì bocca.

“Sei Gervasio, vero? Io sono Dulbino, il fratello di Giovanni, con cui giocavi da piccolo.”

“Ah, Giovanni, certo! E tu sei Dulbino , sì, sì… mi ricordo. Dov’è ora tuo fratello? Non lo vedo da quando partì con tuo padre e tua madre.”

“Non lo so, Gervasio. Nessuno ha saputo dirmi niente. Quando sono tornato qui la volta scorsa non c’erano già più; mi hanno detto che sono andati oltre le montagne, di la’” risposi, facendo segno a nord.

“Tua madre ha sofferto molto quando sei andato via, Dulbino, anche se non ti ha mai detto niente. Vi chiamano “i pazzi”, sapete, perché andate dietro a quello che sembra un pazzo.”

Io e frate Filippo ci guardammo quasi con imbarazzo, anche se di imbarazzante non c’era niente. Ma vallo a spiegare a chi non sa come viviamo e cosa facciamo.

“Eh… “ dissi, “le mamme sono apprensive, hanno paura di tutto e vorrebbero sempre che il proprio figlio crescesse sotto le loro gonne. Ma io ho trovato la mia vita insieme a loro: gioia nel Signore, semplicità di vita, fraternità.”

“… e camminare scalzi e morire di fame e di freddo” rispose Gervasio indicando il nostro vestire.

“Non si può avere sempre tutto ciò che si vuole, perché non tutto è veramente buono per noi e la nostra anima!”

Udimmo queste parole venire da dietro di noi e ci voltammo.

Francesco stava arrivando di corsa da mezzo al boschetto.

“Pace, fratelli!” esclamò ansando e risistemando il saio che era andato un po’ per i fatti suoi.

“Francesco!” disse fra Filippo. “Dov’eri?”

“Avevo una missione da compiere stanotte, di quelle che richiedono che ci sia solo io.”

“Lui è Francesco” dissi rivolto a Gervasio. “È il nostro fratello maggiore, il pazzo per il quale sono diventato anch’io pazzo” ammiccai.

“Cos’è questa cosa del pazzo?” chiese Francesco divertito.

“È che non mi sembra normale quello che fate, e non solo a me.”

“Ed è solo per questo che la gente pensa che siamo pazzi?” ribatté Francesco.

“Beh, non mi sembra normale col freddo e il gelo andare in giro così poco vestiti, qualcuno anche scalzo, dormire all’aperto senza avere una casa.”

“Tu che mestiere fai” chiese Francesco a Gervasio.

“Intreccio cestini in vimini, riparo qualcosa che si rompe, cose così insomma.”

“E per fare questo hai bisogno di un posto dove stare, dove la gente ti può venire a cercare. Hai bisogno di una casa dove ripararti e dormire, vero?”

“Certamente!”

“Noi, invece, per fare il nostro ‘mestiere’ abbiamo bisogno di… non aver bisogno di niente! Anzi, ogni cosa che possediamo ci distrae da quello che abbiamo scelto di fare. Il nostro mestiere è andare dalla gente e dire loro: ‘sei figlio di Dio! Rialzati e cammina a testa alta, rendi onore al Padre tuo che è nei Cieli!’”

“E come fate per le cose che vi servono: mangiare, vestirvi, dormire?”

“Abbiamo tanti servitori che neanche te li immagini!”

Io e frate Filippo a questo punto guardammo Francesco con aria interrogativa. Lui allora si girò verso di noi e disse:

“Non vedete anche voi ogni volta uno stuolo di angeli mandati da nostro Padre ad accompagnare chi ci porta un tozzo di pane, un po’ di stoffa per farci un saio, una coperta per qualche fratello ammalato e infreddolito?”

Poi si volse nuovamente verso Gervasio e abbracciando con le mani il cielo e la terra disse:

“Vedi fratello, abbiamo tanti di quei servitori che nemmeno il papa o l’imperatore di Germania!”

“Ma come… “ provai a dire, ma non trovai altre parole, non capivo.

“Tu, Dulbino, fratello mio carissimo e amato, devi smettere di guardare con gli occhi del corpo e imparare a usare quelli dell’anima!”

Gervasio sembrò colpito da una frustata e si irrigidì, aggrottando le ciglia. Poi chiese rivolto a Francesco:

“E cosa vuol dire questo?”

Francesco gli si avvicinò e mise una mano sulla sua spalla; quindi prese a camminare con lui sulla riva.

E cominciò a dire:

“Vieni, fratello Gervasio, ti racconto una storia… .”

Poi la voce divenne un sussurro e tre paia di orme calcarono i ciottoli, allontanandosi.

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N.B.: Luvino è il nome di Luino al tempo di Dulbino e Francesco, intorno al 1200. Questo racconto fa parte della saga di fra Dulbino, fraticello (inventato) del primo gruppo di compagni di Francesco d'Assisi. Gli altri racconti li trovate qui, nel vecchio blog. Alcuni sono stati pubblicati anche nel libro Lasciati amare - Vivi Pono, scritto non Nicola Rachello.

lunedì 16 marzo 2015

Fra Dulbino e il trono del re (racconto)

...lo invitai ad andare ad Assisi ad infervorare quei cristiani

Questa storia mi è appena stata raccontata da fra Dulbino e ve la voglio far conoscere subito.
I fioretti di S. Francesco la riportano al capitolo XXX, ma io ve la racconto come nasce dal suo cuore.
Buona lettura!




Fra Dulbino e il trono del re



“Questa è la povertà, fratello Dulbino. Non ti ho mai raccontato di quello che è capitato a frate Rufino?”

Eravamo partiti presto al mattino e il Signore ci aveva donato una splendida giornata dall'aria odorosa e animata dai vividi colori della natura. I canti degli uccelli ci avevano accompagnato donandoci allegria.

“No, frate Francesco” risposi.

Cos'era mai potuto capitare a frate Rufino che anch'io non lo sapessi? O forse era successo molto prima che io mi unissi ai miei fratelli?

O ancora, e forse è così, è una cosa che agli occhi del mondo può sembrare senza senso e bislacca e invece è sensata per la vita di questi pazzi (di cui faccio orgogliosamente parte anch'io)?

“Vuoi che te la racconti?”

Avrei voluto dirgli: 'ma certo! E che aspetti?' Ma poi mi accorsi che in tal modo avrei ceduto alla curiosità maligna che apre le porte ai mali pensieri, che allontana dal vivere il momento, come ci insegna Francesco ogni giorno.

Ogni cosa, infatti, dice il nostro fratello e padre, ha il suo momento, quello in cui Dio ci da' un insegnamento, Lui sa quale e Lui sa come e perché. E se noi con la nostra impazienza lo fuggiamo, cercando cose future per non vivere le presenti, perdiamo la visita del Santo Spirito che viene ad impartirci l'insegnamento indispensabile per le nostre anime.

E poi sapevo che frate Francesco, quando io non ero presente, amava chiamarmi: Dulbino il fratellino impaziente. Perciò non volevo dargliene altro motivo...

E così frenai la mente e la lingua e, quindi, dissi:

“Se quello che vorrai dirmi edifica l'anima mia, ti ascolto fratello.”

Francesco sedette a terra e mi fece segno di farlo anch'io. Mi girai attorno alla ricerca di qualcosa di meno scomodo dei sassi della strada, ma non c'era niente. Così feci un passo indietro e andai ad appoggiarmi all'albero che ci donava quella bella e fresca ombra, poi mi lasciai scivolare a terra.

Francesco fece una smorfia.

“Fratello, fratello... le comodità rammolliscono l'anima e appesantiscono il passo del tuo spirito per la strada della santità... “

“Ma... Francesco! È un albero in mezzo alla strada non il trono di un re!”

“Non vedi fratello che per te ora quello è il trono del tentatore?”

Rimasi senza saper cosa dire. Ma Francesco, padre dolcissimo e premuroso, seppe venire incontro alla mia difficoltà e cambiò discorso come niente fosse stato.

“Allora, ti racconto di fra Rufino. Eravamo a Spello e avevo saputo che ci sarebbe stata una fiera di bestiame e stoffe, sai, come quella a cui tante volte ho partecipato anch'io prima, quando... quando ancora vivevo per il regno degli uomini invece che per quello di Dio.”

Io annuii e Francesco continuò:

“Ancora il Signore non ci aveva mandato molti dei nostri fratelli e neanche te. Frate Rufino era seduto in disparte e sicuramente era assorto nelle cose di Dio, perché le sue labbra erano socchiuse in un sorriso e i suoi occhi parevano emanare scintille di gioia, come un fuoco di notte che illumina. Sai che frate Rufino non è molto pronto nel parlare... insomma balbetta un po', ed è per questo che non ama mettersi ai primi posti quando andiamo per le piazze ad annunciare il Santo Evangelo. Ha sempre paura che qualcuno gli chieda qualcosa e lui debba rispondere. Ma io volevo che la sua fede e il suo amore per Nostro Signore Gesù Cristo fossero manifestati, così lo invitai ad andare ad Assisi ad infervorare quei cristiani con le parole che il suo cuore gli dettava.”

Francesco si fermò e guardò per terra, come cercasse qualcosa, poi alzò gli occhi e incontrò i miei, quindi riprese a parlare.

“Eh... Rufino, tu sei una delle tre più sante anime al mondo... “ e sospirò.

Frenai la lingua che voleva correre a chiedere chi fossero le altre due.

“Sì, quella volta ho sbagliato, fratello Dulbino, ma il Signore ha voluto che frate Rufino mi desse una grande lezione. E che lezione!”

Qual'era la lezione che Rufino, per quanto anima santa, poteva dare a Francesco? Ma anche questa domanda non feci per non restare l'impaziente fratellino.

“E cosa accadde?” chiesi, invece, quando capì che Francesco si stava perdendo nei meandri della sua anima assetata di pace.

“Sì... Glielo dissi e Rufino divenne rosso in faccia, poi rispose: 'Pur con tutto l'amore che ho per Gesù e anche per te, fratello Francesco, non voglio andare!'

Rimasi sbalordito dalle sue parole, che ho sempre conosciuto come persona gentile e nobile d'animo (oltre che di casata).

Anche Francesco doveva esser rimasto allora stranito da quella risposta, infatti continuò a raccontare.

“E così gli dissi: 'poiché tu, Rufino, ti rifiuti di obbedire, allora andrai ad Assisi nudo come sei uscito dal grembo di tua madre, con indosso solo un paio di braghe, entrerai nel Duomo e predicherai ai fedeli, come ti detta il cuore'.

Non seppi trattenere le parole: “E Rufino cosa fece?”

“Rufino si tolse il saio, lo lasciò ai nostri piedi e parti verso Assisi, senza dire alcuna parola!”

Francesco sembrava sconvolto ancora adesso, al solo ripensare a queste cose.

“Capisci fratello che lezione ci ha dato, anzi mi ha dato? Questa è povertà vera, spogliazione da tutto!”

“Perché ha lasciato il saio ed è andato nudo?”

“Certo che no! Ma perché egli che è di una delle famiglie più nobili in Assisi ha accettato di mostrasi così, nudo, in pubblico! E non solo alla gente semplice nelle vie e nelle piazze, ma ai nobili suoi pari in Chiesa! E lui, che è così schivo e difficoltoso a parlare, ha messo al primo posto l'annunziare le Sante Parole di Gesù alla sua balbuzie, senza aver paura di aggiungere una umiliazione all'altra. Rufino si è spogliato di ciò che aveva di più caro umanamente per obbedire al mio invito.”

“Beh, fratello, veramente non fu proprio un invito, per come l'hai raccontata...“

“Hai ragione, ed è per questo che la storia non finisce qui.”

Francesco si alzò e si allontanò di qualche passo, si appoggiò al tronco di un grande pioppo e si chinò a strappare un filo d'erba acetosella.

“Grazie, Padre, per quest'erba così buona e rinfrescante” disse alzandola al cielo come fosse il Santo Calice della Messa. Quindi continuò:

“A quel punto, dopo quella lezione che il Signore volle darmi per mezzo di fratello Rufino, ammaestrai con poche e semplici parole gli altri fratelli, chiamai frate Leone, mi spogliai anch'io, gli diedi da portare il mio saio e quello di Rufino e ci incamminammo verso Assisi. Era giusto che provassi anch'io l'umiliazione che avevo imposto come giogo al mio fratello amatissimo.”

“Fu una lezione per entrambi, fratello Francesco.”

Ora Francesco aveva preso ad agitare le mani, come quando il fuoco dello Spirito lo invade e parla con parole ispirate.

“Sì, Dulbino, amico dell'anima mia, dici bene. Tu mi stai insegnando che ogni cosa, ogni avvenimento è strumento di Dio per la nostra santificazione. Spesso non sappiamo dare il giusto peso a ciò che accade perché siamo troppo presi dal nostro 'io sono qualcuno'. E come con Rufino, devo imparare ancora tante cose da tutti voi. Capisci adesso perché la fraternità è un dono del Signore? Perché tutti insegnano, tutti incoraggiano, tutti esortano, pur con le loro limitazioni. Anzi è Dio stesso che insegna, incoraggia ed esorta attraverso i nostri limiti. Guai se non avessimo limiti! Cosa potrebbe insegnare Dio a tutti noi? Ci faremo noi stessi Dio!”

In verità era stato lui a insegnarmi quella lezione, ma Francesco era l'umiltà fatta carne e non l'ho mai sentito darsi il merito di qualcosa.

Certo che ero capitato in una bella gabbia di pazzi! Ma ormai era diventata casa mia e se lì il Signore mia aveva messo, c'era un motivo.

“Fratello Dulbino!” Francesco mi si era avvicinato e mi guardava seduto ancora in terra. “Non ti sembra che abbiamo riposato abbastanza? Andiamo, abbiamo ancora tanta strada da fare!”

E ci incamminammo sulla strada polverosa. E Francesco camminava saltellando su un piede solo.

sabato 14 marzo 2015

Fra Dulbino e il cantico delle creature



Uno degli scopi, certamente il principale, di questo blog è far conoscere le storie di fra Dulbino, in cui racconta della sua vita vicino a Francesco d'Assisi.
Ogni storia un ammaestramento, ogni storia un racconto di armonia, poesia, vita.

Fra Dulbino e il cantico delle Creature



Lo guardo di tra gli alberi, laggiù ai piedi dello scosceso, dove le acque del fiumicello  lambiscono i sassi e le felci, rinvigorite dalle piogge degli ultimi giorni.
È magrissimo, sotto quel sacco di tela grezza, scalzo e con i piedi martoriati dalle troppe pietre calpestate.
Si china ogni tanto a bagnare le foglie di vite che ha in mano (dove le ha prese, poi, da queste parti?) e se le porta sulle tempie, forse a rinfrescare il suo dolore.
Ma quale altro dolore deve essere per lui sapere che pian piano non riuscirà più a vedere quella natura che egli considera sua madre, sua sorella, sua amante!
Alza gli occhi verso l'alto, poi gira lo sguardo attorno a sé, abbracciando tutto ciò che lo circonda.
Forse prega, dialoga col suo Dio, magari si lamenta di qualcosa; lui è così: non tiene niente dentro, con nessuno. Figuriamoci col Padreterno!
Qualche piccolo animale vicino a me provoca un rumore e Francesco si volge a guardare. E mi vede.
- Chi c'è lì? - mi chiede?
- Fra Dulbino - rispondo, confuso per esser stato sorpreso a spiare.
Mi fa segno di raggiungerlo.
Scendo cercando di non scivolare, aggrappandomi ad alberi e arbusti.
Lo raggiungo.
- Ciao, padre Francesco.
- Nessuno è padre su questa terra. Uno solo è il Padre e sta lassù in cielo - risponde.
Poi dopo una pausa:
- Anzi, qui - e mi tocca con l'indice all'altezza del cuore - dentro di te. Se gli uomini capissero che il loro corpo è un vaso che contiene Dio, avrebbero più rispetto per loro stessi e per gli altri.
Si ferma per un attimo e alza gli occhi a guardare le acque del fiumiciattolo.
- Ci credi tu che in te abita Dio?
Sembra seguire un momento il filo dei suoi pensieri, poi continua:
- Non un Dio astratto, quello buono per scriverci un poema o una canzone. Parlo di Dio quello vero, quello della Bibbia, del Corano, degli ebrei... Li ho conosciuti veramente, sai: ebrei, musulmani... Sono uomini, come noi, con i nostri sogni, i nostri desideri. Cambia solo un po' l'odore e il colore della pelle e parlano una lingua strana. Ma credo che anche loro pensano lo stesso di noi cristiani...
- Francesco, -azzardo una domanda - cosa vuol dire che Dio sta dentro di noi?
Francesco mi guarda e sorride.
- E come faccio a spiegartelo! È una cosa che io sento. Potrei dirti milioni di parole, farti mille spiegazioni e potrei non riuscire a fartelo capire. Non perché sei stupido, ma perché certe cose si sentono, non si spiegano.
- E allora?
- E allora... io ti posso raccontare come ci sono arrivato, ma ognuno ha la sua strada...
Francesco mi mette una mano sulla spalla e fa segno con l'altra di guardare tutto quello che ci circonda.
- Ci vuole tanto amore... e anche tanta umiltà. Quando ero giovane, come te, avevo un'infinità di sogni, ma il più grande era quello di essere il migliore, di essere al centro dell'attenzione di tutto e di tutti. Sognavo feste, ragazze, onori, armature lucenti, campi di battaglia. Mi sentivo invincibile!
- Sì, ho sentito raccontare queste storie di te...
- E non capivo che la realtà era diversa. I miei occhi vedevano altre cose... anzi non vedevano proprio la realtà, ma solo quel velo che ricopre ogni cosa e che ci allontana dalla verità...
- Quale velo? - chiedo.
- Il velo del mondo, delle convenzioni, delle facciate. L'uomo ha bisogno di queste cose per sentirsi bene, realizzato, per sentirsi al pari degli altri. Ma non capisce che solo se scopre di essere, sì, unico, ma davanti a Dio non agli altri, amato personalmente dall'Altissimo, può vivere la sua vita in pienezza.
- ... in pienezza?
- Sì, una vita che non si fa' trascinare dal primo che arriva o dalle cose che possiede, ma che ogni giorno è piena di forza, coraggio, libertà, amore...
E mentre dice queste cose, i suoi occhi si riempiono di lacrime, il suo sguardo si accende.
- Perché piangi, Francesco? Cos'è che ti rende triste?
- Triste? Io non sono triste! Piango di gioia! Io sono amato da Dio, lo capisci! Proprio io, Francesco il poverello, l'ignorante, il pazzo, lo sconsiderato e tutte le altre cose che hanno detto di me finora!
Francesco rimane a contemplare gli alberi e il fiume. Poi  comincia a prende a calci l'acqua, a spruzzarla dappertutto, bagna il suo saio e il mio.
- Balla e canta con me, fratello Dulbino! Non senti gli uccelli che melodia che suonano solo per noi?
Francesco comincia a danzare e mi trascina con sé nelle acque gelate del fiumicello. E canta, con una voce melodiosa e forte allo stesso tempo.
Poi, quando è esausto, si ferma ed esce dall'acqua.
Siamo entrambi completamente bagnati e il venticello leggero ci fa attaccare gli abiti al corpo nudo. E ho freddo, ma la gioia di Francesco mi ha contagiato e non mi da fastidio.
Stiamo seduti un po' sull'argine del ruscelletto. Francesco mi tiene abbracciato, per scaldare entrambi. E io gli dico:
- Mi hai detto che Dio è dentro di noi, ma non mi hai spiegato nulla...
Si gira a guardarmi, e poi sorride.
- Fra Dulbino... ma non hai sentito niente mentre danzavamo nel ruscelletto? Non hai sentito di essere parte della natura, non ti sei lasciato andare alla gioia delle gocce d'acqua sulla pelle, non ti sei sentito uno con me, gli alberi, gli uccelli, il sole?
Francesco mi stringe ancora più forte:
- Questo è essere Dio! Io, Francesco, sono Dio, il vento è Dio, l'acqua fresca è Dio! Quando sarai capace di sentirti parte di quest'Uno... allora avrai capito che anche tu sei Dio, sei parte del Tutto di Dio! E sarai pronto a fare la tua parte nell'universo, sarai capace di creare con Dio ogni istante che vivrai, donando vita e amore a tutto ciò che ti circonderà.
Mi volgo a guardarlo. Il suo volto è trasfigurato, in pace; sembra quasi che non sia più un abitante di questo mondo. E forse non lo è davvero, almeno del mondo in cui vivo ancora io...
Francesco sospira due, tre volte, si tiene il volto tra le mani per qualche istante, come ci ha raccontato di aver visto fare nella terra del Sultano per pregare. Poi si alza e mi invita a farlo anch'io.
E allora alza le mani al cielo e comincia sommessamente a cantare così:

Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle, in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dai sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi' Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke 'l sosterrano in pace, ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male.
Laudate et benedicete mi’ Signore' et ringratiate et serviateli cum grande humilitate.

- Fra Dulbino, hai capito ora?
Mi prende sotto braccio, poggia il capo sulla mia spalla e ce ne andiamo lungo il ruscelletto.

mercoledì 11 marzo 2015

Fra Dulbino: dal cuore di Francesco al nostro

Fra Dulbino, in verità, non esiste; è solo una scusa.
È un personaggio che ho inventato per poter parlare di Francesco d'Assisi.
Non in modo apologetico, storico, critico.
Non per affermare la predominanza di una chiesa su un'altra: Francesco appartiene all'umanità, senza distinzione di chiese, comunità, religioni.
Niente di tutto ciò.
Quello che vorrei poter manifestare nelle pagine di questo blog, è il Francesco così come lo vedo e, soprattutto, lo sento io.
È, per usare le parole di un amico, come Francesco parla al mio cuore.
Perché possiamo discutere di tutto e di tutti, esprimere i pareri più discordanti e contrastanti, fare le analisi più approfondite e serie, ma penso che il mondo d'oggi abbia semplicemente smarrito il cuore.
E Francesco d'Assisi può aiutarci a ritrovarne la strada, quella per il nostro cuore, per quello degli altri e quello del mondo.
Nelle mie intenzione, in questo blog ci saranno spigolature, curiosità su personaggi e luoghi, anche materiale già pubblicato altrove da me o da amici.
E naturalmente le storie di fra Dulbino.
E se avete idee, proposte di collaborazione, argomenti particolari, parliamone, anche in privato.
Buona lettura!