lunedì 16 marzo 2015

Fra Dulbino e il trono del re (racconto)

...lo invitai ad andare ad Assisi ad infervorare quei cristiani

Questa storia mi è appena stata raccontata da fra Dulbino e ve la voglio far conoscere subito.
I fioretti di S. Francesco la riportano al capitolo XXX, ma io ve la racconto come nasce dal suo cuore.
Buona lettura!




Fra Dulbino e il trono del re



“Questa è la povertà, fratello Dulbino. Non ti ho mai raccontato di quello che è capitato a frate Rufino?”

Eravamo partiti presto al mattino e il Signore ci aveva donato una splendida giornata dall'aria odorosa e animata dai vividi colori della natura. I canti degli uccelli ci avevano accompagnato donandoci allegria.

“No, frate Francesco” risposi.

Cos'era mai potuto capitare a frate Rufino che anch'io non lo sapessi? O forse era successo molto prima che io mi unissi ai miei fratelli?

O ancora, e forse è così, è una cosa che agli occhi del mondo può sembrare senza senso e bislacca e invece è sensata per la vita di questi pazzi (di cui faccio orgogliosamente parte anch'io)?

“Vuoi che te la racconti?”

Avrei voluto dirgli: 'ma certo! E che aspetti?' Ma poi mi accorsi che in tal modo avrei ceduto alla curiosità maligna che apre le porte ai mali pensieri, che allontana dal vivere il momento, come ci insegna Francesco ogni giorno.

Ogni cosa, infatti, dice il nostro fratello e padre, ha il suo momento, quello in cui Dio ci da' un insegnamento, Lui sa quale e Lui sa come e perché. E se noi con la nostra impazienza lo fuggiamo, cercando cose future per non vivere le presenti, perdiamo la visita del Santo Spirito che viene ad impartirci l'insegnamento indispensabile per le nostre anime.

E poi sapevo che frate Francesco, quando io non ero presente, amava chiamarmi: Dulbino il fratellino impaziente. Perciò non volevo dargliene altro motivo...

E così frenai la mente e la lingua e, quindi, dissi:

“Se quello che vorrai dirmi edifica l'anima mia, ti ascolto fratello.”

Francesco sedette a terra e mi fece segno di farlo anch'io. Mi girai attorno alla ricerca di qualcosa di meno scomodo dei sassi della strada, ma non c'era niente. Così feci un passo indietro e andai ad appoggiarmi all'albero che ci donava quella bella e fresca ombra, poi mi lasciai scivolare a terra.

Francesco fece una smorfia.

“Fratello, fratello... le comodità rammolliscono l'anima e appesantiscono il passo del tuo spirito per la strada della santità... “

“Ma... Francesco! È un albero in mezzo alla strada non il trono di un re!”

“Non vedi fratello che per te ora quello è il trono del tentatore?”

Rimasi senza saper cosa dire. Ma Francesco, padre dolcissimo e premuroso, seppe venire incontro alla mia difficoltà e cambiò discorso come niente fosse stato.

“Allora, ti racconto di fra Rufino. Eravamo a Spello e avevo saputo che ci sarebbe stata una fiera di bestiame e stoffe, sai, come quella a cui tante volte ho partecipato anch'io prima, quando... quando ancora vivevo per il regno degli uomini invece che per quello di Dio.”

Io annuii e Francesco continuò:

“Ancora il Signore non ci aveva mandato molti dei nostri fratelli e neanche te. Frate Rufino era seduto in disparte e sicuramente era assorto nelle cose di Dio, perché le sue labbra erano socchiuse in un sorriso e i suoi occhi parevano emanare scintille di gioia, come un fuoco di notte che illumina. Sai che frate Rufino non è molto pronto nel parlare... insomma balbetta un po', ed è per questo che non ama mettersi ai primi posti quando andiamo per le piazze ad annunciare il Santo Evangelo. Ha sempre paura che qualcuno gli chieda qualcosa e lui debba rispondere. Ma io volevo che la sua fede e il suo amore per Nostro Signore Gesù Cristo fossero manifestati, così lo invitai ad andare ad Assisi ad infervorare quei cristiani con le parole che il suo cuore gli dettava.”

Francesco si fermò e guardò per terra, come cercasse qualcosa, poi alzò gli occhi e incontrò i miei, quindi riprese a parlare.

“Eh... Rufino, tu sei una delle tre più sante anime al mondo... “ e sospirò.

Frenai la lingua che voleva correre a chiedere chi fossero le altre due.

“Sì, quella volta ho sbagliato, fratello Dulbino, ma il Signore ha voluto che frate Rufino mi desse una grande lezione. E che lezione!”

Qual'era la lezione che Rufino, per quanto anima santa, poteva dare a Francesco? Ma anche questa domanda non feci per non restare l'impaziente fratellino.

“E cosa accadde?” chiesi, invece, quando capì che Francesco si stava perdendo nei meandri della sua anima assetata di pace.

“Sì... Glielo dissi e Rufino divenne rosso in faccia, poi rispose: 'Pur con tutto l'amore che ho per Gesù e anche per te, fratello Francesco, non voglio andare!'

Rimasi sbalordito dalle sue parole, che ho sempre conosciuto come persona gentile e nobile d'animo (oltre che di casata).

Anche Francesco doveva esser rimasto allora stranito da quella risposta, infatti continuò a raccontare.

“E così gli dissi: 'poiché tu, Rufino, ti rifiuti di obbedire, allora andrai ad Assisi nudo come sei uscito dal grembo di tua madre, con indosso solo un paio di braghe, entrerai nel Duomo e predicherai ai fedeli, come ti detta il cuore'.

Non seppi trattenere le parole: “E Rufino cosa fece?”

“Rufino si tolse il saio, lo lasciò ai nostri piedi e parti verso Assisi, senza dire alcuna parola!”

Francesco sembrava sconvolto ancora adesso, al solo ripensare a queste cose.

“Capisci fratello che lezione ci ha dato, anzi mi ha dato? Questa è povertà vera, spogliazione da tutto!”

“Perché ha lasciato il saio ed è andato nudo?”

“Certo che no! Ma perché egli che è di una delle famiglie più nobili in Assisi ha accettato di mostrasi così, nudo, in pubblico! E non solo alla gente semplice nelle vie e nelle piazze, ma ai nobili suoi pari in Chiesa! E lui, che è così schivo e difficoltoso a parlare, ha messo al primo posto l'annunziare le Sante Parole di Gesù alla sua balbuzie, senza aver paura di aggiungere una umiliazione all'altra. Rufino si è spogliato di ciò che aveva di più caro umanamente per obbedire al mio invito.”

“Beh, fratello, veramente non fu proprio un invito, per come l'hai raccontata...“

“Hai ragione, ed è per questo che la storia non finisce qui.”

Francesco si alzò e si allontanò di qualche passo, si appoggiò al tronco di un grande pioppo e si chinò a strappare un filo d'erba acetosella.

“Grazie, Padre, per quest'erba così buona e rinfrescante” disse alzandola al cielo come fosse il Santo Calice della Messa. Quindi continuò:

“A quel punto, dopo quella lezione che il Signore volle darmi per mezzo di fratello Rufino, ammaestrai con poche e semplici parole gli altri fratelli, chiamai frate Leone, mi spogliai anch'io, gli diedi da portare il mio saio e quello di Rufino e ci incamminammo verso Assisi. Era giusto che provassi anch'io l'umiliazione che avevo imposto come giogo al mio fratello amatissimo.”

“Fu una lezione per entrambi, fratello Francesco.”

Ora Francesco aveva preso ad agitare le mani, come quando il fuoco dello Spirito lo invade e parla con parole ispirate.

“Sì, Dulbino, amico dell'anima mia, dici bene. Tu mi stai insegnando che ogni cosa, ogni avvenimento è strumento di Dio per la nostra santificazione. Spesso non sappiamo dare il giusto peso a ciò che accade perché siamo troppo presi dal nostro 'io sono qualcuno'. E come con Rufino, devo imparare ancora tante cose da tutti voi. Capisci adesso perché la fraternità è un dono del Signore? Perché tutti insegnano, tutti incoraggiano, tutti esortano, pur con le loro limitazioni. Anzi è Dio stesso che insegna, incoraggia ed esorta attraverso i nostri limiti. Guai se non avessimo limiti! Cosa potrebbe insegnare Dio a tutti noi? Ci faremo noi stessi Dio!”

In verità era stato lui a insegnarmi quella lezione, ma Francesco era l'umiltà fatta carne e non l'ho mai sentito darsi il merito di qualcosa.

Certo che ero capitato in una bella gabbia di pazzi! Ma ormai era diventata casa mia e se lì il Signore mia aveva messo, c'era un motivo.

“Fratello Dulbino!” Francesco mi si era avvicinato e mi guardava seduto ancora in terra. “Non ti sembra che abbiamo riposato abbastanza? Andiamo, abbiamo ancora tanta strada da fare!”

E ci incamminammo sulla strada polverosa. E Francesco camminava saltellando su un piede solo.

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