...lo invitai ad andare ad Assisi ad infervorare quei cristiani |
Questa storia mi è appena stata raccontata da fra Dulbino e ve la voglio far conoscere subito.
I fioretti di S. Francesco la riportano al capitolo XXX, ma io ve la racconto come nasce dal suo cuore.
Buona lettura!
Fra Dulbino e il trono del re
“Questa
è la povertà, fratello Dulbino. Non ti ho mai raccontato di quello che è
capitato a frate Rufino?”
Eravamo
partiti presto al mattino e il Signore ci aveva donato una splendida giornata
dall'aria odorosa e animata dai vividi colori della natura. I canti degli
uccelli ci avevano accompagnato donandoci allegria.
“No,
frate Francesco” risposi.
Cos'era
mai potuto capitare a frate Rufino che anch'io non lo sapessi? O forse era
successo molto prima che io mi unissi ai miei fratelli?
O
ancora, e forse è così, è una cosa che agli occhi del mondo può sembrare senza
senso e bislacca e invece è sensata per la vita di questi pazzi (di cui faccio
orgogliosamente parte anch'io)?
“Vuoi
che te la racconti?”
Avrei
voluto dirgli: 'ma certo! E che aspetti?' Ma poi mi accorsi che in tal modo
avrei ceduto alla curiosità maligna che apre le porte ai mali pensieri, che
allontana dal vivere il momento, come ci insegna Francesco ogni giorno.
Ogni
cosa, infatti, dice il nostro fratello e padre, ha il suo momento, quello in
cui Dio ci da' un insegnamento, Lui sa quale e Lui sa come e perché. E se noi
con la nostra impazienza lo fuggiamo, cercando cose future per non vivere le
presenti, perdiamo la visita del Santo Spirito che viene ad impartirci
l'insegnamento indispensabile per le nostre anime.
E
poi sapevo che frate Francesco, quando io non ero presente, amava chiamarmi:
Dulbino il fratellino impaziente. Perciò non volevo dargliene altro motivo...
E
così frenai la mente e la lingua e, quindi, dissi:
“Se
quello che vorrai dirmi edifica l'anima mia, ti ascolto fratello.”
Francesco
sedette a terra e mi fece segno di farlo anch'io. Mi girai attorno alla ricerca
di qualcosa di meno scomodo dei sassi della strada, ma non c'era niente. Così
feci un passo indietro e andai ad appoggiarmi all'albero che ci donava quella
bella e fresca ombra, poi mi lasciai scivolare a terra.
Francesco
fece una smorfia.
“Fratello,
fratello... le comodità rammolliscono l'anima e appesantiscono il passo del tuo
spirito per la strada della santità... “
“Ma...
Francesco! È un albero in mezzo alla strada non il trono di un re!”
“Non
vedi fratello che per te ora quello è il trono del tentatore?”
Rimasi
senza saper cosa dire. Ma Francesco, padre dolcissimo e premuroso, seppe venire
incontro alla mia difficoltà e cambiò discorso come niente fosse stato.
“Allora,
ti racconto di fra Rufino. Eravamo a Spello e avevo saputo che ci sarebbe stata
una fiera di bestiame e stoffe, sai, come quella a cui tante volte ho
partecipato anch'io prima, quando... quando ancora vivevo per il regno degli
uomini invece che per quello di Dio.”
Io
annuii e Francesco continuò:
“Ancora
il Signore non ci aveva mandato molti dei nostri fratelli e neanche te. Frate
Rufino era seduto in disparte e sicuramente era assorto nelle cose di Dio,
perché le sue labbra erano socchiuse in un sorriso e i suoi occhi parevano
emanare scintille di gioia, come un fuoco di notte che illumina. Sai che frate
Rufino non è molto pronto nel parlare... insomma balbetta un po', ed è per
questo che non ama mettersi ai primi posti quando andiamo per le piazze ad
annunciare il Santo Evangelo. Ha sempre paura che qualcuno gli chieda qualcosa
e lui debba rispondere. Ma io volevo che la sua fede e il suo amore per Nostro
Signore Gesù Cristo fossero manifestati, così lo invitai ad andare ad Assisi ad
infervorare quei cristiani con le parole che il suo cuore gli dettava.”
Francesco
si fermò e guardò per terra, come cercasse qualcosa, poi alzò gli occhi e incontrò
i miei, quindi riprese a parlare.
“Eh...
Rufino, tu sei una delle tre più sante anime al mondo... “ e sospirò.
Frenai
la lingua che voleva correre a chiedere chi fossero le altre due.
“Sì,
quella volta ho sbagliato, fratello Dulbino, ma il Signore ha voluto che frate
Rufino mi desse una grande lezione. E che lezione!”
Qual'era
la lezione che Rufino, per quanto anima santa, poteva dare a Francesco? Ma
anche questa domanda non feci per non restare l'impaziente fratellino.
“E
cosa accadde?” chiesi, invece, quando capì che Francesco si stava perdendo nei
meandri della sua anima assetata di pace.
“Sì...
Glielo dissi e Rufino divenne rosso in faccia, poi rispose: 'Pur con tutto
l'amore che ho per Gesù e anche per te, fratello Francesco, non voglio andare!'
Rimasi
sbalordito dalle sue parole, che ho sempre conosciuto come persona gentile e
nobile d'animo (oltre che di casata).
Anche
Francesco doveva esser rimasto allora stranito da quella risposta, infatti
continuò a raccontare.
“E
così gli dissi: 'poiché tu, Rufino, ti rifiuti di obbedire, allora andrai ad
Assisi nudo come sei uscito dal grembo di tua madre, con indosso solo un paio
di braghe, entrerai nel Duomo e predicherai ai fedeli, come ti detta il cuore'.
Non
seppi trattenere le parole: “E Rufino cosa fece?”
“Rufino
si tolse il saio, lo lasciò ai nostri piedi e parti verso Assisi, senza dire
alcuna parola!”
Francesco
sembrava sconvolto ancora adesso, al solo ripensare a queste cose.
“Capisci
fratello che lezione ci ha dato, anzi mi ha dato? Questa è povertà vera,
spogliazione da tutto!”
“Perché
ha lasciato il saio ed è andato nudo?”
“Certo
che no! Ma perché egli che è di una delle famiglie più nobili in Assisi ha
accettato di mostrasi così, nudo, in pubblico! E non solo alla gente semplice
nelle vie e nelle piazze, ma ai nobili suoi pari in Chiesa! E lui, che è così
schivo e difficoltoso a parlare, ha messo al primo posto l'annunziare le Sante
Parole di Gesù alla sua balbuzie, senza aver paura di aggiungere una
umiliazione all'altra. Rufino si è spogliato di ciò che aveva di più caro
umanamente per obbedire al mio invito.”
“Beh,
fratello, veramente non fu proprio un invito, per come l'hai raccontata...“
“Hai
ragione, ed è per questo che la storia non finisce qui.”
Francesco
si alzò e si allontanò di qualche passo, si appoggiò al tronco di un grande
pioppo e si chinò a strappare un filo d'erba acetosella.
“Grazie,
Padre, per quest'erba così buona e rinfrescante” disse alzandola al cielo come
fosse il Santo Calice della Messa. Quindi continuò:
“A
quel punto, dopo quella lezione che il Signore volle darmi per mezzo di
fratello Rufino, ammaestrai con poche e semplici parole gli altri fratelli,
chiamai frate Leone, mi spogliai anch'io, gli diedi da portare il mio saio e
quello di Rufino e ci incamminammo verso Assisi. Era giusto che provassi
anch'io l'umiliazione che avevo imposto come giogo al mio fratello amatissimo.”
“Fu
una lezione per entrambi, fratello Francesco.”
Ora
Francesco aveva preso ad agitare le mani, come quando il fuoco dello Spirito lo
invade e parla con parole ispirate.
“Sì,
Dulbino, amico dell'anima mia, dici bene. Tu mi stai insegnando che ogni cosa,
ogni avvenimento è strumento di Dio per la nostra santificazione. Spesso non
sappiamo dare il giusto peso a ciò che accade perché siamo troppo presi dal
nostro 'io sono qualcuno'. E come con Rufino, devo imparare ancora tante cose
da tutti voi. Capisci adesso perché la fraternità è un dono del Signore? Perché
tutti insegnano, tutti incoraggiano, tutti esortano, pur con le loro limitazioni.
Anzi è Dio stesso che insegna, incoraggia ed esorta attraverso i nostri limiti.
Guai se non avessimo limiti! Cosa potrebbe insegnare Dio a tutti noi? Ci faremo
noi stessi Dio!”
In
verità era stato lui a insegnarmi quella lezione, ma Francesco era l'umiltà
fatta carne e non l'ho mai sentito darsi il merito di qualcosa.
Certo
che ero capitato in una bella gabbia di pazzi! Ma ormai era diventata casa mia
e se lì il Signore mia aveva messo, c'era un motivo.
“Fratello
Dulbino!” Francesco mi si era avvicinato e mi guardava seduto ancora in terra.
“Non ti sembra che abbiamo riposato abbastanza? Andiamo, abbiamo ancora tanta
strada da fare!”
E
ci incamminammo sulla strada polverosa. E Francesco camminava saltellando su un
piede solo.
Nessun commento:
Posta un commento