Grandi uccelli giocavano tra i raggi del sole... |
Era
piovuto fino a pochi minuti prima, acqua mista a nevischio che aveva inzuppato
ogni cosa. Ma ora le nuvole si stavano sciogliendo e un accenno di tepore
andava a riempire l'aria.
Quella
tiepidezza unita allo sciabordio dell'acqua contro la riva del lago favoriva il
cullarsi come in un sonno.
A
volte nostro fratello corpo ha le sue esigenze e bisogna essere indulgenti. E
poi non era forse Dio che ci stava facendo quel dono?
Rimasi
a fissare l'acqua che andava acquietandosi: le onde perdevano sempre più la
loro spuma e si abbassavano d'intensità. Grandi uccelli giocavano tra i raggi del sole che filtravano tra le nuvole residue che ancora coprivano il cielo.
Eravamo
ormai da tre giorni fermi a Luvino e rivedendo le persone della mia infanzia,
ascoltando i loro ricordi, un senso di nostalgia mi stava riempiendo. Come
quando davanti ad un camino acceso gli odori ti trasportano in mondi dove non
sei mai stato ma dove capisci che saresti a tuo agio.
Io
invece quei mondi li conoscevo bene: erano la mia infanzia, le corse tra le
case basse con gli altri ragazzi, l’adolescenza, il profumo dell’acqua dolce e
della resina dei pini.
Ero
da solo in riva al lago, dove il paese finisce e la strada curva attorno allo
sperone di roccia.
Mio
fratello Giovanni, dove sarà adesso? E i miei genitori? Cammineranno ancora su
questa terra o sorella morte li avrà già chiamati e portati davanti a Dio?
Gervasio,
compagno di giochi di Giovanni, mi aveva raccontato di quando la mia famiglia
umana aveva lasciato Luvino (*) per andare in cerca di fortuna al di là delle
montagne. Ma dalle sue parole avevo capito che non volevano più vivere lì dove
ogni pietra e ogni albero gli ricordavano di me, che li avevo lasciati per
seguire i pazzi del pazzo Francesco.
Forse
Gervasio aveva ragione? Siamo pazzi a camminare scalzi e morire di fame e di
freddo… E per cosa poi? Per essere insultati dalla gente e scacciati dai preti
a cui ricordiamo con carità e dolcezza la loro grande dignità che spesso
calpestano per andare dietro al mondo e alle sue pompe, per usare le parole del
Santo Evangelo?
Però
poi penso che camminiamo scalzi e moriamo di fame e di freddo anche per poter
annunziare liberamente e con verità quelle Sante Parole per cui tanti prima di
noi morirono anche corporalmente oltre
che nei desideri. Per essere soli col Solo quando preghiamo, senza niente e
nessuno che si frapponga tra noi e il Nostro Signore e Padre Dio.
Quanti
pensieri! Quanti macigni nell’anima e sul cuore! Quanta pesantezza nel cammino
dello spirito!
Spesso
mi ero ritrovato a vivere queste sensazioni, ad avere questi pensieri, e ogni
volta mi ero visto come in un baratro, da cui non vedevo più la luce
dell’uscita, in cui sentivo solo voci di condanna, di miseria, di
scoraggiamento.
E
ogni volta era stato frate Francesco a raccogliermi e, dolcemente, a riportarmi
sulla strada.
Vedevo
poco distante frate Silvestro che con fatica cercava di alzarsi da terra,
aggrappandosi all’albero cui finora si era poggiato per dare un po’ di riposo a
suo fratello corpo affaticato dagli anni.
Gli
corsi incontro e gli porsi una mano per aiutarlo. Poi quando vidi che non
riusciva a farsi forza sulle gambe, perché la sua età gliele aveva infiacchite
(ma anche gli sforzi, i digiuni, i lungi cammini per spostarsi da una paese
all’altro), allora lo abbracciai e feci delle mie gambe le sue, fino a che non
fu in piedi.
“Grazie
fratello Dulbino, bastone della mia vecchiaia!” mi disse col suo sorriso
semplice e disarmante e i suoi occhi chiari.
Lui,
di cui frate Francesco diceva che parlava con Dio come l’uno amico dell’Altro,
diceva che ero il bastone della sua vecchiaia! Quale gioia invase l’anima mia!
Per
un attimo i cattivi pensieri lasciarono la mia mente, ma poi tornarono ad
assalirla e a spingerla giù nel pozzo nero dell’oscurità.
Sapevo
che tutto questo era lavoro di colui che è persin meglio non nominare, che
allontana dalla luce per nascondersi nel buio della menzogna.
“Cosa
c’è, fratello? Ho visto turbato il tuo volto, prima, mentre fissavi l’acqua e
ho immaginato che innumerevoli pensieri attraversavano la tua mente e la tua
anima” mi chiese Silvestro.
Io
rimasi a guardare il niente davanti a me. Quindi risposi:
“Hai ragione, fratello Silvestro. Da quando sono qui a Luvino, ai pensieri che già affollano la mia mente sulla nostra vita, il nostro peregrinare, si aggiungono i ricordi e le domande sulla mia famiglia di origine. È male tutto ciò?”
“Hai ragione, fratello Silvestro. Da quando sono qui a Luvino, ai pensieri che già affollano la mia mente sulla nostra vita, il nostro peregrinare, si aggiungono i ricordi e le domande sulla mia famiglia di origine. È male tutto ciò?”
“Dulbino,
fratello e figlio carissimo, chi di noi non ha o non ha avuto questi pensieri?
Chi può dire di essersi lasciato totalmente alle spalle la sua vita precedente?
Io stesso quante volte ripenso a quando ero sacerdote nel secolo e non
conoscevo ancora la santa povertà? A quando ho accusato, ingiustamente, frate
Francesco di non avermi pagato le pietre per ricostruire San Damiano ed egli ha
risposto ricoprendomi di monete d’oro e sorridendomi con compassione? Non
dimenticherò mai quello sguardo di misericordia… Ed è stato quello sguardo che
mi ha fatto capire come io, sacerdote e per di più anziano, fossi ancora
attaccato alle cose del mondo! Ed ora eccomi qua, costretto a farmi aiutare da
te per rialzarmi da terra. Ma è proprio questo che ho imparato: nessuno di noi
è solo, nessuno può dire di essere sufficiente a sé stesso, anche se giovane e
forte. Ci sarà sempre qualcosa che ci impedirà di rialzarci quando cadiamo.
Abbiamo tutti bisogno l’uno dell’altro e, soprattutto, abbiamo bisogno tutti di
Dio.”
E
nel dire così, frate Silvestro alzò gli occhi verso il cielo e i suoi occhi limpidi
si riempirono di lacrime.
Come
dicono le Sante Parole della Scrittura, nulla viene se non voluto da Dio, e
quelle parole erano proprio per me.
Nessuno
mai avrebbe cancellato, ora o in seguito, quelle tenebre dell’anima mia, se non
Dio. Ma avrei sempre trovato qualcuno a cui aggrapparmi.
Un
rumore di ciottoli smossi ci fece girare e la figura piccola e smagrita di
frate Francesco ci venne incontro.
“Fratelli!
Finalmente vi ho trovati! Sapevo che tu, Dulbino, non potevi stare lontano
dalle acque del tuo lago!”
Quindi
andò verso frate Silvestro, gli si inginocchiò dinanzi e gli baciò le mani.
“No,
fratello! Perché?” protestò l'anziano frate.
“Lo
sai perché, fratello Silvestro. Perché dell'altissimo Figlio di Dio nient'altro
vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo
sangue suo che voi sacerdoti ricevete e che voi soli amministrate a noi piccole
creature.” **
Poi
Francesco si alzò e continuò:
“Di
cosa stavate parlando? Delle cose di Dio?”
“Delle
cose degli uomini, frate Francesco, e quindi delle cose di Dio” rispose frate
Silvestro.
“E'
vero fratello, non c'è niente al mondo che non sia anche di Dio, perché tutto e
tutti siamo sue creature.”
Gli
occhi di Francesco saettavano da Silvestro a me e tornavano a lui.
“Cosa
turba il tuo cuore, fratellino?”
Io
rimasi in silenzio; non sapevo da che parte cominciare a raccontargli ciò che
passava nella mia anima.
E
allora frate Silvestro prese a dire:
“Il
passato, i dubbi, le incertezze macerano la mente e il cuore del nostro giovane
fratello. Gli ho detto che è umano tutto ciò, e ora aggiungo che tutto si può
in Colui che ci da’ la forza.”
“Certamente,
Silvestro! Onoro la saggezza che alberga in te e che ti ha suggerito queste
parole! Noi non siamo soli” disse poi volgendosi verso di me “ma in ogni cosa
abbiamo un Padre che conosce ogni capello del nostro capo. Non vuoi che conosca
anche i nostri pensieri, per quanto profondi e cupi possano essere?”
Francesco
pose una mano sulla spalla di Silvestro e l'altra sulla mia. E continuò,
volgendosi a me:
“Dio
non cancella la tua storia, ma non permette che il suo ricordo ti faccia del
male; basta che ti affidi a Lui, che Glielo chiedi.”
Gli
occhi di frate Silvestro sembravano quelli di uno che avesse la febbre alta, ma
capivo che erano infiammati d'amore per il Signore. Pareva che il suo spirito,
alle parole di Francesco, avesse cominciato a volare, a cercare la gioia che da’
la presenza dell'Altissimo.
Frate
Francesco raccolse le sue mani sul petto, come l'avevo visto fare tante volte
quando pregava. Sembrava volersi abbracciare. Ma poi capii che sentiva invece l'abbraccio
di Gesù al suo povero corpo e alla sua povera anima. E fissandomi disse:
“Lasciati
amare da Dio, Dulbino, fratello carissimo! Lascia che Dio penetri nella tua
vita, abbatta le barriere che hai messo tra te e Lui e operi in te.
Chiediglielo sempre, con le lacrime, tra le suppliche, in ginocchio.
ChiediGlielo e Lui ti esaudirà, e allora tutta la tua vita sarà nelle Sue mani
e tutto sarà nuovo, tutto avrà un nuovo inizio. Egli l'ha promesso: ti darà un
cuore nuovo! Come l’ha dato prima di te a tutti i suoi figli! Dio rispetta le
nostre scelte, ma sta alla porta e bussa: aspetta che noi Gli apriamo e Gli
permettiamo di fare nuova ogni cosa. Lasciati amare e nulla ti apparirà più
come una montagna insormontabile, come una notte buia e senza stelle ad
indicarci il cammino.”
Poi
venne da me e mi abbracciò, e io sentii come catene cadere dentro di me, una
fiamma bruciarmi nell'anima e contemporaneamente un soffio d'aria fresca
spazzare la pesantezza del mio passato.
“Lasciati
amare da Dio, Dulbino. Ed Egli sarà la risposta ad ogni tua domanda e la tua
forza per sempre.”
I
miei occhi cominciarono ad appannarsi e vedevo Francesco e Silvestro come
dietro una parete d’acqua: erano le lacrime che scendevano a rigare il mio
viso. Cercai di asciugarle con le mani, ma più ne toglievo e più ne scendevano.
“Scusate…
“ mormorai.
“E
perché? Non vedi che anche noi piangiamo con te?” disse Francesco.
Ed
era vero: i miei due compagni piangevano e capii dai loro volti che le loro
erano lacrime di gioia, gioia per me.
“Le
lacrime sono un dono di Dio” continuò Francesco. “Ognuna di esse lava e
purifica la nostra anima.”
Restammo
così per un po’, non so quanto, ma il tempo che bastava per tornare coi piedi
su questa terra dopo esser stati in cielo davanti al trono dell’Altissimo.
“Ed
ora” ruppe il silenzio Francesco “andiamo fratelli, abbiamo ancora tanta strada
da fare!”
(*)
Nome antico dell’attuale Luino, sul lago Maggiore
(**)
“Testamento di Francesco”, 10 (1226)
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